Ansimando fuggia la vaporiera…

Ansimando fuggía la vaporiera
Recitano i versi di una poesia del Carducci che da bambino mi recitava mia madre e che mi paicque al punto da impararla a memoria spontaneamente, pur se bella lunga
Ansimando fuggía la vaporiera
evoca arcani sogni ed immagini del viaggio che a fine giugno facevamo noi tre fratelli con mia zia per raggiungere la Terra Promessa del mare Jonio calabrese.
I rumori del treno, gli odori dei vagoni oppure della linea ferroviaria che cambiavano nel corso del viaggio…
…per risvegliarsi che albeggiava con il treno che arrivava sullo Jonio costeggiandolo.
Il rito costringeva a seguire tutto il percorso lungo costa in piedi, nel corridoio con le braccia poggiate sul bordo del finestrino, anche se gli occhi erano mezzi chiusi dal sonno ed il resto del treno dormiva ancora.
Ansimando fuggía la vaporiera
la mia passione per i treni, la ricerca anche ora da adulto di viaggi in cui incontrare treni storici trainati da locomotive a vapore (santa Fondazione FS che ci sta aiutando a non disperdere tale patrimonio storico, industriale, ludico!)
…perché nel mio immaginario evoca un misto del grande fuoco della caldaia a carbone, del mito dell’homo faber che a prezzo della grande fatica dello spalare carbone esercita il proprio potere di controllare il gigante ferrato che sbuffa e di alimentare il progresso dell’umanità – cui la ferrovia ha certamente tanto contribuito e continua a contribuire.
Ansimando fuggía la vaporiera
…recuperare il viaggio col treno slow, i paesaggi che si posson godere dal finestrino, gli incontri che si possono fare in una dimensione altra dall’ aereo.
Così quando tanti anni fa pensai di avventurarmi per la prima volta nell’ Africa sub-sahariana la scelta cadde sull’ Africa occidentale (per i suoi paesaggi umani, solitamente “contrapposta” all’ Africa orientale in cui prevalgono i paesaggi naturalistici e gli animali). In particolare, scelsi di esplorare Senegal e Mali.
Motivo?
Forse parecchi, ma un peso specifico elevato lo ebbe il desiderio di fare il lungo viaggio in treno tra le capitali dei due Stati: il treno Dakar-Bamako.
Il treno Dakar-Bamako partiva solo due volte a settimana e per fare 1300 Km avrebbe impiegato 30 ore (che tutti sapevano essere non meno di 36).
La prima sfida era prenderlo, trovarsi al posto giusto al momento giusto. Con l’orgoglio di aver vinto questa prima sfida salii a bordo verso le 17 di un pomeriggio di gennaio (già due ore di ritardo solo per aspettarlo!!).
Dopo qualche ora di viaggio il primo contrattempo: si scende. Perché non si sa, quanto tempo da aspettare non si sa. Qualche ora dopo passa un treno merci: non sappiamo se potevamo salire o meno, ma seguo la folla della popolazione locale.
Ci accomodiamo per terra, uomini e bestie insieme. Io avevo vicino un signore con una capra. Il contrattempo sembra avventura…
…finché non scende la notte. Il buio è totale (si trattava di vagone merci). La presenza della capra si fa imbarazzante, nonostante un minimo di accortezza del proprietario: non solo perché un animale fa quello che vuole e quando vuole, ma anche per il terrore che la sua eventuale minzione avesse reso i vestiti nello zaino inservibili e, allora, addio viaggio.
Nel bel mezzo della notte siamo svegliati dalle guardie di frontiera del Mali: che bello si avvicina la meta!
Neanche per sogno: nonostante avessi visto in regola, i poliziotti decidono che io debba scendere.
Ad una ora indefinita alle prime luci dell’alba un treno passeggeri lì fermo sarebbe partito alla volta del Mali. Passeggio avanti ed indietro un po’ per riscaldarmi nella notte, un po’ per tenermi sveglio, un po’ per farmi venire qualche idea.
Si avvicina l’ora della partenza del treno e non son mai riuscito a convincere le guardie di frontiera del mio diritto a prendere il treno. Non voglio tirar fuori soldi: contrario ai miei principi, rischio che ti dicano che volevi corromperli, rischio che ti sequestrino tutti i soldi (a quei tempi niente credit card!).
Tiro fuori due Mars dalle tasche anteriori del mio fedele zaino (eredità del servizio militare come Ufficiale medico, da allora mio fedele compagno nei viaggi avventurosi fino ad oggi). Pur essendo ormai schiacciati, sembrano addolcire le guardie che mi consentono di salire sul treno, proprio mentre stava partendo.
E vai!
I ricordi di quel viaggio di andata fino a Bamako son confusi ed incompleti perché a tratti dormii dopo una notte insonne.
Senza contrattempi fu il viaggio di ritorno da Bamako a Dakar.
Un viaggio in tutti i sensi.
Non scelsi la 1^ classe sia per mischiarmi con la gente del luogo, sia perché non mi piace fare il “ricco occidentale”.
…col senno di poi, l’unica differenza tra 1^ e 2^ classe sarebbe stata il prezzo.
Si lotta (altro che fatica!) per sedersi sul posto assegnato, perché se occupato da altri, faresti fatica a convincerli che è tuo.
Devo dire che davanti alla prospettiva di un viaggio di un giorno e mezzo il desiderio di fare il cavaliere e rischiare di farsi giorno e notte in piedi era svanito.
Già alla partenza gli spazi tra i sedili e nei corridoi sono occupati da mercanzia varia, che spesso diviene il sedile dei proprietari
,,,ma qui il disagio si fa viaggio di scoperta.
Ad un occhio minimamente attento (non è la curiosità che mi ha difettato nella vita!) è ingeneroso definire i sacchi ed i pacchi mercanzia!
Nei suoi 1300 km il treno attraversa differenti e variegati paesaggi: dal terreno arido costellato di baobab ai villaggi in cui si intravedono le donne pestare nei grandi mortai, dalla zona ricca di arachidi al fiume pescoso.
Ogni zona con i suoi costumi e la sua etnia (ergo: tratti somatici differenti delle persone).
Ogni fermata fa delle stazioni un mercato, un luogo dello scambio: si scambiano i sacchi di pesce con arachidi, che alcune stazioni successive verranno scambiate con altre merci da vendere al mercato di Dakar.
Un vero viaggio…
…che ancora riempie il mio cuore di calore ed i miei occhi di colori, compreso il colore ocra dell’acqua spessa quanto la
malta che scese dal mio giovane corpo quando finalmente mi feci una lunga doccia all’arrivo a Dakar!
Angelo